da Avv. Giulio Nobili | 28 Settembre 2016

I mutamenti giurisprudenziali (cd. overruling)

giustizia 1

Gli addetti ai lavori ricorderanno senza dubbio la famosa (o famigerata) Cassazione S.U. civ. n. 19246/2010 (sulla riduzione dei termini di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), o l’altrettanto famosa Cassazione S. U. civ. n. 24883/2008 (in punto di rilevabilità ed eccepibilità del difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo).
I due citati arresti, sono solo due esempi (1) del fenomeno che giurisprudenza e dottrina definiscono “overruling”. Ovvero un mutamento repentino ed imprevedibile di un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di norme processuali, che si risolve in una potenziale compromissione del diritto di azione o difesa di una parte. Fenomeno che negli ultimi anni ha assunto dimensioni sempre più ampie, tanto che le Sezioni Unite civili, con riguardo alla sua gestione, hanno parlato di un vero e proprio “travaglio” (2).
Più precisamente, per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, elementi costitutivi dell’ overruling sono solo ed esclusivamente “l’avere a oggetto una norma processuale il rappresentare un mutamento imprevedibile, il determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa” (3). E dunque il mutamento:
- non può mai riguardare una norma sostanziale (4);
- deve essere imprevedibile, cioè incidere su di un pregresso orientamento interpretativo consolidato e non soggetto a periodici mutamenti
L’overruling pone perciò due ordini di problemi, tra loro collegati e nient’affatto trascurabili.
Il primo, è quello pratico del suo effetto sui procedimenti in corso, nei quali venga invocata come applicabile retroattivamente la nuova interpretazione giurisprudenziale. Basti pensare ai potenziali effetti di improcedibilità di Cass. S.U. n. 19246/2010 sulle migliaia di procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo allora in corso.
Il secondo, è quello della sua compatibilità con i principi generali e superiori che regolano il nostro ordinamento giuridico-processuale e con la stessa stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale che la Suprema Corte deve (o dovrebbe) assicurare. Soprattutto quando l’overruling riguardi un precedente delle sue stesse Sezioni Unite, cioè appunto del livello più elevato della funzione nomofilattica propria della Cassazione.
Quanto a questo secondo problema, da un lato è vero che nel nostro ordinamento - a differenza di quanto avviene nei contesti di Civil Law - il Giudice non ha il potere di creare nuove regole di diritto, perchè la nostra Costituzione (art. 101 comma 2°) riserva tale potere solo ed esclusivamente alla Legge. In modo che, applicandola ed interpretandola, il Giudice realizzi il Giusto Processo enunciato dall’art. 111 della Carta.
Dall’altro però, è anche vero che la stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale ha assunto negli ultimi anni un’importanza sempre maggiore e vincolante, ben rappresentata dalla nuova formulazione dell’art. 360 bis c.p.c. Tanto che, come precisato dalle S.U. civili, per derogarvi “occorre che vi siano buone ragioni. E quando si tratta di interpretazione delle norme processuali, occorre che vi siano ottime ragioni” (5).
In mezzo sta, ovviamente, l’esigenza che chi si rivolge alla Giustizia per la tutela dei propri diritti, possa fare ragionevole affidamento sulla stabilità interpretativa della norma processuale.

Quindi regolare gli effetti dell’overruling, significa cercare di tutelare l’affidamento che la parte abbia fatto sull’apparenza di stabilità di un solido precedente giurisprudenziale. E farlo nel rispetto dei principi superiori che regolano il nostro ordinamento giuridico. 

La soluzione, insegna la Suprema Corte (6) , può passare attraverso il principio di ragionevolezza, che pone un limite netto alla retroagibilità della nuova interpretazione espressa nell’overruling.
Pertanto la nuova interpretazione ermeneutica scaturita dall’overruling non potrà intaccare l’affidamento che la parte abbia fatto su di un pregresso indirizzo interpretativo. Ed il Giudice del caso concreto, potrà disapplicare il nuovo principio ermeneutico, facendo salva la legittimità degli atti compiuti in base all’interpretazione precedente.
Ciò, lo si ripete, solo ad una condizione: che l’affidamento della parte fosse ragionevole, cioè relativo ad una interpretazione consolidata e rispetto alla quale nessun indizio facesse presagire la probabilità di un rovesciamento.

Giulio Nobili - Studio Legale Salardi


1 – Altri esempi tra vari sono Cass. civ. S.U. n. 627/2008 (rimessione in termini per il deposito dell’avviso di ricevimento della notificazione del ricorso per Cassazione), Cass. civ. S.U. n. 29290/2008 (notificazione di un’unica copia dell’impugnazione al procuratore costituito per più parti)
2 - Cfr. Cass. civ. S.U. ord. n. 23675/2014
3 - Cfr. Cass. civ. S.U. n. 15144 dell’ 11.7.2011
4 - Cfr. Cass. civ. sez. VI ord. n. 18127/2014 e Cass. civ. sez. VI, ord. n. 20172/2013
5 - Cfr. Cass. civ. S.U. ord. n. 23675/2014 cit.
6 - Cfr. Cass. civ. S.U., ord. n. 23675/2014 cit.