Con sentenza n. 33234 del 21.12.2018, la Corte di Cassazione ritorna sul tema delle società esterovestite. La Corte, ribadendo il suo indirizzo, afferma che per esterovestizione s’intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
Tuttavia, affinché questo meccanismo risponda alla nozione di pratica abusiva, occorre da un lato che esso abbia come risultato l’ottenimento del vantaggio fiscale e dall’altro che, da un insieme di elementi oggettivi, risulti che lo scopo essenziale dell’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.
La Corte di Cassazione, riprendendo la sentenza della Corte di Giustizia 12.9.2006 (causa C. 196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas), afferma quindi che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà, e che l’abuso si configura soltanto se concerne la costruzione di un puro artificio (wholly artificial arrangement) finalizzato ad escludere la normativa dello stato membro interessato.
Nel caso, poi, di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359, 1° comma, c.c., la Corte ha richiamato una propria precedente sentenza della sezione penale (sentenza 24.10.2014/30.10.2015, n. 43809) secondo cui non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva, l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali e le direttive amministrative qualora esso s’identifichi con la sede della società controllante italiana, precisando che in tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia la costruzione di un puro artificio, ma corrisponda a un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo e statuto.
Stefano Salardi